Rieccoci qui per un nuovo caffè.
Oggi pochi preamboli, anche perché il pezzo che ho scritto per questo venerdì è piuttosto lungo.
Come avevo già avuto modo di spiegare, qui non ho particolare interesse a stare sulla attualità. Ma questa volta ho fatto un'eccezione per una polemica che mi ha toccato in maniera particolare: quella intorno alla mostra su Tolkien a Roma.
Non aggiungo altro perché mi sono dilungato a sufficienza nell'articolo. Solo vi invito caldamente a scrivermi cosa ne pensate voi. Così possiamo proseguire il dibattitto tra di noi.
Buona lettura!
Difendiamo la Terra di Mezzo
«Tutto è politica», diceva Thomas Mann. Lo sapevamo già e questi ultimi anni di polarizzazioni estreme in ogni dibattitto, in cui potenzialmente ogni cosa (dalle mascherine chirurgiche a Peppa Pig) può venire politicizzata, dovrebbero averci tolto ogni dubbio. Sarebbe ingenuo credere che la letteratura possa sottrarsi a questa regola, anzi è bene che non si sottragga. Politicizzare un libro o un autore può essere la chiave per aprire a nuove e interessanti letture. Altre volte è soltanto una rozza strumentalizzazione.
Parliamo di Tolkien. Uomo, Professore, Autore, la mostra presso la Galleria Nazionale a Roma dedicata all’autore del Il Signore degli Anelli, inaugurata pochi giorni fa, voluta dal ministro della Cultura e finanziata con soldi pubblici. A sottolineare quanto l’iniziativa sia cara all’attuale maggioranza di governo ci sono anche le visite di pesi massimi delle istituzioni come la premier e il presidente del Senato. Insomma, una vera e propria “mostra di Stato”, benedetta da una precisa parte politica.
Non stiamo qui a riassumere i dibattiti che la cosa ha generato. Basti dire che la mostra ha suscitato quantomeno perplessità anche fuori dai nostri confini finendo sui giornali di mezzo mondo, tra cui il New York Times e il Guardian. Perplessità anzi più marcata all’estero, dato che l’adozione di Tolkien come autore di riferimento per la destra è una esclusiva italiana, che affonda le sue radici negli anni ’70. Per un riassunto sulla questione c’è questo articolo di Wired. Per approfondire ulteriormente (e anche per leggere una confutazione degli argomenti che vedrebbero in Tolkien un “autore di destra”) c’è il libro L' anello che non tiene. Tolkien fra letteratura e mistificazione di Lucio Del Corso e Paolo Pecere e alcuni capitoli di Difendere la Terra di Mezzo di Wu Ming 4, peraltro ristampato da poco.
Anche questo recente articolo su Doppiozero di Giuseppe Pezzini smonta le tesi superficiali che inquadrano Tolkien come puro conservatore. Tesi che prima di tutto hanno il torto di appiattire e banalizzare sia l’opera che il profilo intellettuale di Tolkien. Per Pezzini Tolkien è «difficilmente riducibile ad un’etichetta […] il concetto di ‘conservatore’ al massimo può descrivere solo un aspetto di una complessa personalità, il cui l’unico tratto dominante sembra essere l’ostilità verso qualunque progetto egemonico». Anche per i libri tolkeniani e i loro contenuti ideologici la parola chiave è complessità, che è propria di tutte le grandi opere letterarie ed è precisamente ciò che si oppone a qualunque incasellamento troppo semplicistico: «Tolkien certamente accoglie l’atteggiamento conservatore nella sua opera, ma la integra in un quadro più ampio, focalizzandola attraverso personaggi “parzializzati” all’interno di una Totalità che è superiore alle parti. All’interno del grande mosaico tolkieniano le singole parti sono accolte senza censure (e questo spiega anche la diversità dei suoi lettori, che trovano nella sua opera una varietà di accenti e sensibilità) ma al contempo nessuna di esse può essere idealizzata o esasperata».
Ora, personalmente credo che una grande opera letteraria sia un patrimonio aperto e disponibile. Tutti sono liberi di appropriarsene e farci quello che vogliono. Se negli anni ’70 dei giovani neofascisti videro ne Il Signore degli Anelli qualcosa in cui riconoscersi, non stavano facendo a rigore nulla di illegittimo, nonostante alla base ci fossero interpretazioni discutibili e non in linea con le intenzioni dell’autore. Anzi, se vogliamo, il fatto che negli stessi anni sia militanti di estrema destra che (soprattutto negli Usa) esponenti della controcultura hippie trovarono in Tolkien una bandiera, è una certificazione della ricchezza della sua opera. Il problema sorge quando non si tratta più semplicemente di “adottare” un’opera, ma quando si porta avanti una operazione politico-culturale per porci sopra il proprio sigillo.
E qui torniamo alla mostra romana. Com’è? Non un granché secondo chi l’ha già visitata. Ecco qui un resoconto, a firma di Alessia de Antonis, abbastanza impietoso, dove, tra le altre cose, si legge: «A parere di chi scrive quella che occupa indegnamente alcune sale della Gnam sarebbe una bellissima mostra se fosse l’esposizione di fine anno di una scuola d’arte. Con tutte le opere che potremmo esporre in una sede di tale prestigio non si comprende come si possano sprecare risorse per una raccolta di libri, locandine di film e oggetti vari, spiegati male e con una indecifrata strategia espositiva». E ancora: «Manca, in questa mostra, il senso dell’avventura, l’interesse di Tolkien per la storia medievale, per i miti, le leggende. Manca la genialità e l’originalità di un autore immenso che ha ispirato generazioni di artisti e di lettori. Manca la vita che è in ogni singola pagina che lui ha scritto e che i curatori di questa mostra non sono stati in grado di far rivivere nonostante tutta la tecnologia che abbiamo oggi a disposizione. Una grande occasione persa per far rivivere Tolkien, che qui giace sommerso dalla polvere di una cultura vuota e stantia».
Insomma, una mostra pigra, sciatta, povera di contenuti e mal concepita. Per altro curata senza il coinvolgimento di nessuno dei migliori studiosi tolkeniani. Una simile cialtronata rende definitivamente non credibile l’idea che dietro alla mostra ci possa essere qualunque intento genuino di approfondimento e divulgazione dell’opera di Tolkien, è solo il tentativo di piazzare “ufficialmente” la propria bandierina su un autore. Parte di una strategia (piuttosto goffa) di questa destra di crearsi un proprio retroterra culturale nobile. Qualcuno forse si ricorderà di quando mesi fa il ministro Sangiuliano definì nientemeno che Dante il «fondatore del pensiero di destra». Evidentemente in quell’occasione il ministro aveva sparato troppo in alto e la cosa fu lasciata cadere lì, come una delle tante gaffe collezionate dagli esponenti dell’attuale governo. Appropriarsi di Tolkien pare una impresa più alla portata, proprio perché in Italia l’idea di un “Tolkien di destra” è già sedimentata e fino ad ora non ha incontrato (colpevolmente) molte opposizioni.
Lo dice bene anche Silvia Ingusci in questo articolo per Rivista Studio, che è anche un atto di accusa verso le interpretazioni invasive, di cui questa operazione portata avanti dal governo è un caso eclatante. «In quasi tutti gli esempi moderni, l’interpretazione è un rifiuto di lasciare in pace l’opera d’arte, addomesticandola e cercando di ridurla unicamente al suo contenuto», scrive. In un saggio di Susan Sontag (citato da Ingusci), eloquentemente intitolato Contro l’interpretazione, si afferma che «L’interpretazione rende l’arte docile e accomodante».
Se c’è qualcosa che le vicissitudini italiane di Tolkien possono insegnare è proprio questo: a volte interpretare è la peggiore cosa che si può fare a un’opera letteraria, specie se lo si fa con fini ideologici. Difendiamo Tolkien, difendiamo qualunque opera da chi vuole sottrargli il suo bene più prezioso: la sua irriducibile, indocile, scomoda complessità.
Rassegna 🗞️
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Una citazione per concludere 🖋️
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Giovanni Raboni
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