Bentornati. Io sono Marcello Conti e questa è Caffè Letterato la newsletter che si occupa di giornalismo culturale e dintorni.
Nel caso qualcuno se lo stesse chiedendo, no, Caffè Letterato non andrà in pausa estiva. Continuerà ad uscire con la solita cadenza, ma dal prossimo numero fino a settembre sarà in "edizione ridotta", cioè limitato alla rassegna dei migliori articoli, come del resto è già accaduto qualche volta nelle settimane scorse.
In compenso oggi c'è un pezzo molto corposo e molto sentito su quello che imparato quest'anno sul giornalismo culturale. Buona lettura!
Rassegna 🗞️
Pensiero orizzontale: guardare il mondo (e scrivere) dal letto
Perché il saggio più che un genere è un attegiamento mentale
Quella strana idea di identità italiana, che non esiste ma che verrà insegnata a scuola
«Se fai un libro pensando che abbia un messaggio positivo, o sei scemo o vuoi essere molto letto, ed è quello il messaggio positivo». Una imperdibile intervista a Walter Siti
Politicamente corretto e politicamente scorretto come categorie anti-letterarie
Qualche riflessione sull’attuale situazione del mercato editoriale e sulla sua ricerca spasmodica del bestseller
Raccontare la realtà attraverso i fumetti: sul graphic journalism
Ma parliamo un po’ di Godzilla
Il cinema salvato dagli snob (e dal merchandising)
Cose che ho imparato
Si sa: non importa quello che dice il calendario, da che mondo è mondo l'anno finisce a giugno e ricomincia a settembre. È l'estate, quindi, il momento dei bilanci, quello in cui si fa il punto sui dodici mesi precedenti, su cosa è accaduto o cosa cambiato dall'estate precedente.
Io quest'anno ho frequentato la Scuola del Tascabile, un corso di giornalismo culturale organizzato da Treccani. È stato molto importante per me: ha dato una svolta significativa alla mia carriera di giornalista culturale, anche e soprattutto in termini di consapevolezza.
Alcune riflessioni che ho maturato all'interno del corso sono già in qualche modo trapelate dentro questa newsletter. Oggi però - dato che ormai ho preso l'abitudine di usare Caffè Letterato come taccuino su cui segnare le cose che voglio fissare per iscritto da qualche parte - ho deciso di provare a sintetizzare le 5 lezioni fondamentali più utili che ho appreso sulla scrittura culturale durante quest'anno.
Ve le lascio qui, nel caso possano risultare utili a qualcun’altro oltre che a me.
1. Un pezzo è letteralmente un pezzo
Nel senso che spesso un articolo va inteso come parte di qualcosa di più grande, da costruire pezzo dopo pezzo.
Si tratta di avere una visione a lungo termine, ma anche e soprattutto di non farsi prendere dall'ansia di dire tutto subito, di pretendere di scrivere articoli definitivi: un'ambizione che per lo più non porta ad altro che a paralizzarsi.
Perché se il buon giornalismo culturale ha sempre la vocazione all'approfondimento e alla complessità, bisogna riconoscere che la profondità e la dimestichezza con argomenti complessi non sono cose che si possono conquistare in poco tempo. Vanno messi insieme poco per volta.
Il singolo pezzo deve avere un valore in sè, ma va anche inteso come un passo in più che si compie lungo un cammino. Pensarla in questo modo aiuta a scrivere, per almeno due ragioni: da una parte rassicura, perché libera dall'obbligo di essere perfetti o esaurienti; il singolo articolo è solo una tappa, non un traguardo: le mancanze potranno essere recuperate nei prossimi. Dall'altro lato da motivazioni ulteriori: sai che il lavoro che stai facendo non si esaurisce nella scrittura di quel pezzo, serve anche a mettere da parte materiale che tornerà utile in futuro.
2. Non levigare troppo
I social ci hanno abituato a una comunicazione liscia, rotonda, che scorre senza attriti, sempre sufficientemente semplificata e filtrata da poter stare dentro una storia o un carosello di Instagram.
Il giornalismo culturale è una boccata d'aria fresca quando rompe programmaticamente con questo tipo di comunicazione. Stiamo parlando ancora di approfondimento e complessità, cose che per essere autentiche richiedono sempre una certa difficoltà, comportano un certo attrito da vincere.
Levigare troppo può significare perdere il vero valore di un pezzo. A volte quello che bisogna offrire è il materiale grezzo del pensiero, invece che la sua versione già masticata e digerita. Il che vuol dire anche lasciare al lettore un suo spazio di libera rielaborazione. Vuol dire portarlo dentro il laboratorio o l'officina, invece di limitarsi a dargli il prodotto finito.
3. Leggere molto, leggere bene, utilizzare quello che si legge
Questa lezione è piuttosto ovvia, ma quest'anno ho avuto modo di rifletterci maggiormente e a prenderla più sul serio.
L'unico modo per imparare a scrivere è leggere molto. Ma ancora più importante è leggere le cose giuste, cioè quelle migliori. Non bisogna lasciarsi dissuadere dal complesso di inferiorità che può sorgere quando ci si confronta con quelli bravi. Non scegliere i tuoi modelli in base a ciò che sembra più raggiungibile: un grande scrittore sarà sempre un maestro migliore di uno scrittore mediocre, nonostante il mediocre sia più facilmente imitabile.
Bisogna anche riuscire a vedere in quello che si legge una cassetta degli attrezzi a cui attingere. Imparare a riconoscere le strategie, le posture, i "trick" che i grandi utilizzano per averle a disposizione quando servono.
4. Iniziare perimetrando
E qui torniamo al "non si può dire tutto e subito". Di fatto qualunque argomento è potenzialmente vastissimo, bisogna quindi precisare, prima di tutto a se stessi, di cosa parlare e di cosa no.
Non porsi dei limiti precisi quando si inizia a lavorare su un pezzo o ti blocca in partenza o ti porta a un impegno dispendioso che probabilmente avrà esiti raffazzonati, scentrati, deludenti.
Non bisogna necessariamente avere una idea esatta di quello che si scriverà nel momento in cui ci si mette al lavoro. Ma bisogna avere una consapevolezza precisa dei confini entro cui ci si muoverà. Sapere che cosa si prenderà in considerazione e di conseguenza decidere di escludere il resto.
Qualche esclusione potrà essere dolorosa, ma tanto - come da lezione uno - ci sarà sempre tempo e occasione, con gli articoli successivi, per espandere il perimetro o esplorare quello che c'è oltre i confini che si è dati.
5. La dimensione di gruppo
Questa è forse un'altra lezione scontata. Ma come nessun'altra quest'anno ho avuto modo di sperimentarne l'efficacia.
Scrivere è (quasi sempre) un lavoro intrinsecamente solitario. Eppure esiste anche una dimensione collettiva, che genera valore aggiunto anche in quello che poi si realizza da soli.
Confrontarsi, scambiarsi idee, chiedere pareri, dare e ricevere suggerimenti, rielaborare insieme progetti, fare editing di gruppo... sono tutte cose che attivano potenzialità che nell'isolamento rimarrebbero inespresse. E soprattutto fanno sì che quello che scrivi si inserisca in un tessuto vivo.
Le relazioni danno sempre un senso ulteriore alle cose. Vale anche per la cultura, anzi è vero soprattutto per la cultura, dove i singoli prodotti e le singole individualità perdono di significato se non hanno come sfondo una comunità di riferimento.
E per oggi è tutto
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Alla prossima!