Bentrovati. Io sono Marcello Conti e questo è Caffè Letterato la newsletter su giornalismo culturale e dintorni.
Torniamo dopo una piccola pausa di una settimana. In compenso oggi c'è parecchio materiale interessante nella rassegna. Di più: è una di quelle volte in cui ho trovato anche un filo comune tra i pezzi che ho selezionato. Nel frattempo è anche uscita una nuova puntata puntata di Linea C: più sotto trovate i link per ascoltarla o vederla.
Prima di lasciarvi alla lettura una piccola anticipazione: stanno tornando i pezzi inediti della newsletter. Ce ne sono un paio che sto pensando di scrivere. Probabilmente li vedrete nel corso dell'estate.
Detto questo, buona lettura!
Rassegna🗞️
Una scuola diversa
Dicevo, oggi è una di quelle rassegne in cui c'è un filo conduttore tra gli articoli che ho deciso di approfondire. E questo filo è, in senso ampio, l'educazione, la formazione. Il che non significa necessariamente parlare di scuola, ma certamente la scuola è un capitolo importante del tema.
E di scuola parla appunto questo primo pezzo: Per una scuola rizomatica scritto da Fabrizio Gesuelli e pubblicato da L'Indiscreto, articolo in cui si prova a immaginare una scuola diversa da quella che esiste oggi e ancora di più da quella che suggeriscono le ultime Indicazioni Nazionali.
Si parla di una pedagogia ispirata ai principi di rizoma e deterritorializzazione. Cosa significa? Vi lascio alla lettura dell'articolo per scoprirlo. Mi limito qui a riassumere come nel pezzo ci si immagini una scuola non tanto dedita alla mera trasmissione e verifica del sapere, quanto consapevole che la conoscenza è sempre frutto di una relazione. Più che su gerarchie e programmi rigidi una scuola desiderabile dovrebbe fondarsi sulla ricerca e la creazione di relazioni libere e fruttuose dal punto di vista del sapere.
La scuola, in questi momenti, cessa di essere una macchina che mira a produrre predeterminazione e si apre in mappe rizomatiche. Il docente non è più docente. Lo studente non è più studente. Sono parti di una stessa fiamma che si alimenta nella relazione. Non esistono contenuti da trasmettere, ma esperienze da attivare. Non un sapere chiuso, ma una tensione tra pieni e vuoti, tra parole e silenzi, tra norme e crepe.
Le Indicazioni Nazionali, proprio nella loro natura indicante, sembrano al contrario riproporre una visione di scuola ferma, controllante, che insiste su rapporti di subalternità. Al contrario questa pedagogia non osserva da fuori. Vive dentro. Non progetta: prepara il terreno. E poi aspetta.
Un maestro
Ripartiamo da qui: il sapere è frutto di relazioni. Imparare qualcosa vuol dire aver partecipato ad una relazione che ci ha trasmesso qualcosa di significativo. Vuol dire, insomma, avere avuto dei maestri (indipendentemente dal fatto che questi abbiano voluto deliberatamente assumere quel ruolo).
Qualche giorno è venuto a mancare Goffredo Fofi, importante intellettuale, critico cinematografico e tante altre cose, tra cui - si evince dai ricordi personali che stanno venendo pubblicati in questi giorni - un maestro per molti.
Tra i tanti articoli che lo ricordano e lo celebrano, scelgo questo firmato da Marco Cassini, proprio perché mi sembra quello che più racconta il carattere da maestro di Fofi: non perché si ponesse con nessuno come modello, ma per il suo lavoro continuo finalizzato a cercare, valorizzare, spingere i talenti altrui, nonché a creare spazi e situazioni in cui quei talenti potessero crescere e manifestarsi.
Non credo di aver conosciuto una persona più instancabilmente dedicata al talento altrui e più generosa nel regalare idee, contenuti e progetti per il solo bene della circolazione delle idee; più ferma nelle proprie convinzioni morali, ma al tempo stesso più sincera nell’ammettere un proprio errore di valutazione e rimettersi in discussione.
Un altro maestro
Figura certamente diversa da Goffredo Fofi, ma anche lui un maestro per molti (anzi, con tratti quasi da guru o sciamano) è Vanni Santoni.
Lo si racconta, fra altre cose, in questo articolo: Il detective sonnambulo e il culto Santoni di Carolina Dema, apparso su Il Tascabile. È una ampia recensione del suo romanzo - Il detective sonnambulo (Mondadori) - che a un certo punto si sposta sulla figura di Santoni come personalità "di culto", anche al di là della sua scrittura: figura carismatica riconosciuta come punto di riferimento per tanti giovani intellettuali attratti dagli ambienti underground e controculturali.
Maestro vero anche lui, quindi, in quanto tessitore di relazioni. Ma anche consapevole dei rischi e delle contraddizioni che un ruolo simile comporta, al punto da rifletterci suoi romanzi (Nel Detective sonnambulo appunto, ma anche nel precedente La verità su tutto) in cui mette in scena guru più o meno discutibili. Essere un maestro (ma anche un seguace, tutto sommato, dove il rischio è quello di diventare un smero "sonnambulo" che segue meccanicamente un modello) pare essere un difficile gioco di equilibrio in cui è necessario porsi continuamente la domanda «cosa sei disposto a perdere?»
Vanni Santoni: lo scrittore anarchico che per più di vent’anni ha bazzicato nella scena dei free party, il mangia-cartoni che pubblica con Mondadori e alle presentazioni ci va ancora con le Globe, quello che ha scritto il trittico di saggi narrativi sulle sottoculture, uno dei maggiori rappresentanti del rinascimento psichedelico, il toscanaccio che ha reso celebre Mircea Cărtărescu in Italia, quello che presenta scrittrici e scrittori internazionali al Salone del libro ma poi presta la voce per il docufilm Antirave(2024), proiettato negli squat, quello che se sei un esordiente e gli chiedi una mano manda due mail e ci prova ad aiutarti a svoltare. Chiaro? Quello che “letteralmente nostro padre” (meme tanto abusato quanto accurato in real life), dove il noi rappresenta tuttə quellə giovani artistə che si sono formatə a suon di sottoculture, libertarismo e cassa drittissima.
In breve
I nuovi corpi secondo Walter Siti
Il romanzo salvato dalle donne
La psichedelia rigorosa di Henri Michaux
Linea C
La settimana scorsa è uscita una nuova puntata di Linea C.
Abbiamo avuto come ospite Alessandro Lolli (saggista e intellettuale, che forse molti di voi conosceranno per il libro La guerra dei meme). Ne è venuto fuori un episodio davvero vivace e interessante.
Abbiamo parlato a lungo dell’ultimo libro di Lolli, Storia della fama (effequ) in cui indaga dell’inedita condizione di celebrità di massa in cui ci hanno messo i social network. Ma nel corso della chiacchierata sono stati toccati pure altri temi: il cringe, gli influattivisti, l’amichettismo intellettuale, la vita sui vecchi forum, i battle shonen, i videogiochi piacchiaduro e altro ancora.
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E per oggi è tutto.
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Ci vediamo tra una settimana