Bentornati (o benvenuti, dato che nell'ultima settimana sono arrivati un bel po' di nuovi iscritti). Io sono Marcello Conti e questo è Caffè Letterato che, per chi non lo sapesse, è una newsletter su giornalismo culturale e dintorni.
Visto che ormai siamo a luglio qualcuno potrebbe chiedersi se questa newsletter andrà in vacanza. La risposta è no, per ora. Nel senso che l'intenzione è di andare avanti regolarmente per tutta l'estate, ma mi riservo la possibilità di cambiare idea più avanti, nel caso dovessi venire sopraffatto dal caldo.
Passiamo al numero di oggi. Dopo la solita rassegna, in cui stavolta mescoliamo con disinvoltura metafisica e web cinese, mi prendo un po' di spazio per parlare di un mio articolo a cui tengo particolarmente.
Buona lettura!
Rassegna🗞️
Aggirare la Grande Muraglia
È uscito il nuovo numero di Notzine in cui si parla principalmente di Cina. Voglio segnalare questo articolo: L'internet cinese è una lingua marziana, firmato da JY.
Si parla dell'evoluzione del web cinese, sviluppatosi fin dalle origini sotto lo stretto controllo autoritario e censorio da parte dello Stato (il famigerato Great Firewall). Questo ha fatto sì che l'ecosistema dell'internet cinese sviluppasse caratteristiche uniche, forme di «resistenza digitale» necessarie per potersi esprimere liberamente e che richiedono un gran dispendio di creatività
L'articolo si sofferma soprattutto sull’elaborazione di un linguaggio, pensato apposta per sfuggire alle maglie della censura. Se infatti, tutte le sottoculture di internet (e non solo), sviluppano un proprio linguaggio in buona parte incomprensibile per chi non ne fa parte, nel contesto cinese quei meccanismi vengono utilizzati per comporre «una grammatica della diserzione», per creare piccoli spazi di sovversione interna in un sistema che pare senza uscita
Per gli utenti cinesi, tutto questo genera un’esperienza digitale schizofrenica. Accedere a internet significa entrare in un tunnel della realtà, dove la visibilità è condizionata e l’espressione è una prova d’equilibrismo. Bisogna mantenere più stati mentali attivi allo stesso tempo: sapere e cosa si può dire apertamente, cosa va codificato in metafora, cosa richiede un camuffamento completo e cosa non si può proprio dire. Questa compartimentazione mentale genera una forma di doppia coscienza digitale.
Ogni tasto premuto implica un calcolo complesso: Questo post sopravviverà? Sarà visibile agli altri? Per quanto tempo? Questa formulazione è sicura o richiama un termine recentemente bandito? Il peso psicologico di questa auto-moderazione costante è profondo, e crea un’esperienza frammentata in cui comunicare diventa una forma di arte performativa.
Metafisica oggi
Ho sempre avuto una particolare fascinazione per il termine "metafisico". Tutte le forme d'espressione artistica a cui è stata associata questa etichetta (la pittura di De Chirico, la poesia di Montale, eccetera) mi sono sempre interessate molto. Trovo sia uno di quegli aggettivi che emanano sempre una certa forza d'attrazione, forse perché tende ad aprire possibilità inaspettate, a sottintendere che non è tutto lì, che c'è un oltre da tentare di afferrare.
Ma che dire invece della metafisica vera e propria? Cioè, della corrente filosofica che si occupa di ciò che sta, appunto, "oltre la fisica"? Non se la passa benissimo. Il positivismo l'ha screditata e bandita dalle forme di conoscenza legittime. E, per quanto esistono ancora filosofi contemporanei che si occupano di metafisica, continua ad essere tenuta ai margini del sistema dei saperi. Eppure la metafisica avrebbe anche oggi molto da dire. È la tesi di questo articolo di Mario Capurro uscito su L'indiscreto.
A che serve la metafisica oggi? A indagare questioni fondamentali per l'essere umano (l'esistenza di altri universi, la natura della coscienza, il libero arbitrio, l'origine dell'universo... solo per citarne una manciata) che oggi non sono trattabili attraverso il metodo sperimentale scientifico (e forse non lo saranno mai, o comunque non in tempi che possiamo immaginare vicini).
La metafisica offre un buon compromesso che non sia né decidere di ignorare tutte le questioni non scientificamente verificabili, né abbandonarsi a speculazioni irrazionali. Le norme di una buona metafisica contemporanea, infatti, partono dal non imporsi dei limiti a priori, ma anche dall'evitare le ipotesi che confliggono apertamente con i dati scientifici disponibili; così come fa propria il principio rasoio di Occam per impedire la proliferazione di idee bizzarre o implausibili.
Nel suo monumentale testo “Storia della metafisica” Battista Mondin suggerisce che: “Fare metafisica è interrogarsi sul perché delle cose e degli accadimenti di questo mondo. […] Fare metafisica significa fare esattamente questo: sollevare questioni radicali, ultimative, conclusive e cercare di proporre soluzioni accettabili sul piano della ragione“. Mi è sempre piaciuto questo modo di interpretare la metafisica. Il suggerimento di Mondin non equivale a una precisa definizione, che al solito è quasi impossibile: occorrerebbe infatti precisare cosa si intenda esattamente per “radicale” e per “piano della ragione”, ma a livello intuitivo credo che Mondin colga i due punti essenziali: i) trattare questioni fondamentali (quelle oltre la fisica, e in generale oltre la scienza, ad esempio oltre le neuroscienze); ii) trattarle in modo razionale (non conflittuale con i dati scientifici, ma anche non conflittuale con le leggi della logica).
In breve
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Cose mie
Vi segnalo questo mio articolo uscito la settimana scorsa su Il Tascabile. Si intitola Sul bighellonare ed è piuttosto importante per me.
Faccio una lunga premessa per spiegare perché lo è. Da circa un anno scrivere articoli culturali è la mia principale attività. Cerco di scrivere più articoli possibile, ma non tutti i pezzi sono uguali. Si cerca di fare il meglio che si può, di metterci cura e attenzione, sempre. Ma per almeno tentare di rendere questa attività un minimo sostenibile è chiaro che per la maggiora lavori anche la velocità con cui riesci a finirli è importante. Pezzi che riesci a gestire soprattutto con mestiere, che puoi inserire in una routine efficiente.
Ma ogni tanto servono anche articoli diversi. Questo è uno di quelli. Scriverlo mi ha richiesto molto più tempo e impegno del solito. Ma era giusto farlo: perché se ci ho messo tanto a scriverlo, da ancora più tempo lo covavo. È il punto di arrivo (ma per altri versi spero anche un punto di partenza, perché un buon articolo è davvero tale solo se apre le porte ad altro) di certe riflessioni che mi porto dietro da un po' (qualcosa è anche già finito su questa newsletter in passato).
Si parla di saggistica, o meglio, del saggio come genere letterario: un genere che, paradossalmente, si definisce negativamente dalla mancanza di regole fisse. Il genere libero per eccellenza, insomma, e che in questo si distingue da forme testuali con cui spesso viene confuso: cioè la scrittura accademica e quella divulgativa.
A questo tentativo (essai, appunto) di capire come funziona la scrittura saggistica ho provato poi a dare un po' di sostanza attraverso la lettura di tre libri: tre saggi molto diversi da loro, ma accomunati di occuparsi del tema del viaggio, pur non essendo "libri di viaggio" in senso stretto ma, appunto, veri saggi letterari. Vi lascio scoprire di che libri si tratta leggendo l'articolo.
P.S: Vi avviso che è un po' lungo, ma spero che non vi faccia passare la voglia di leggerlo, come a me non ha fatto passare la voglia di scriverlo.
E per oggi è tutto.
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Ci vediamo tra una settimana