Bentrovati. Io sono Marcello Conti e questo è, ancora una volta, Caffè Letterato, la newsletter su giornalismo culturale e dintorni.
Novità in arrivo: sto pensando di apportare alcune cambiamenti rilevanti a questa newsletter, a livello di contenuti, struttura e anche di cadenza. Per ora preferisco non anticipare troppo, anche perché devo ancora meditare bene sui dettaglia, ma credo che mi prenderò la prossima uscita proprio per spiegare bene tutto.
Ma parliamo del numero di oggi: ho buttato giù alcune riflessioni sul rapporto tra la critica di oggetti culturali e la costruzione di una identità personale. Riflessioni che portavo avanti da un po' e che sono state rinfocolate da alcune letture che sto facendo.
Ma prima la rassegna. Buona lettura!
Rassegna🗞️
Copyright e pirateria come resistenza
Politica artificiale: verso la distopia del tecnosoluzionismo
Gli scrittori non devono “arrivare”, gli scrittori devono sedurre
Non esistono più i programmi scolastici, ma si continua a parlare come se ci fossero
Un incontro con Vitaliano Trevisan
Alla poesia non basta (e a volte neanche serve) "l'interiorità"
Nuovi sguardi sulla realtà: l’animazione d’autore oggi
Sogni orientali e sogni occidentali: Satoshi Kon e Cristopher Nolan
I monaci dei social e la loro morning routine
Appunti su critica e identità
Parliamo di critica e di soggettività. Nella critica la soggettività del critico, quindi la sua identità, la sua personalità, è un elemento sempre presente. Ma lo è in due sensi distinti.
Il primo è abbastanza ovvio: la critica parla di oggetti culturali specifici che vengono analizzati, giudicati, interpretati da un critico, il che significa che vengono fatti passare attraverso la sua soggettività (messi in contatto e fatti reagire con il suo gusto, la sua visione del mondo, le sue conoscenze pregresse). Questa soggettività può essere più o meno esibita (come fanno le firme che puntano su una personalità forte e riconoscibile) oppure nascosta (come è prassi per la critica accademica), ma di fatto è sempre il perno intorno a cui l'attività critica gira (e come potrebbe - viene da chiedere - essere diversamente? Come si potrebbe parlare di oggetti senza soggetti?)
Ma l'identità di un critico si manifesta nella sua scrittura anche in un altro senso, meno scontato e forse più interessante. Ha a che fare con la costruzione dell'identità ed è qualcosa che si dispiega non tanto nella singola occasione (il singolo articolo, il singolo intervento) ma nell'insieme del suo lavoro.
Nella critica, nel discorso intorno ad oggetti culturali, assistiamo, infatti, a un doppio movimento: da un lato l'oggetto viene filtrato (e in un certo senso ricreato) dalla soggettività dell'autore, ma dall'altro è anche l'oggetto culturale che da forma a pezzi di quella soggettività. Perché la costruzione del sé avviene spesso e volentieri attraverso una modalità transitiva, cioè attraverso l'esplorazione di realtà esterne su cui il soggetto si proietta per conoscerle.
Siamo fatti (anche) dai prodotti culturali che consumiamo. Tramite essi formiamo una certa identità. Questo vale per tutti, la differenza del critico è che lui lo fa pubblicamente. Con i suoi testi fa la cronaca di quel processo di avvicinamento e assimilazione dell'oggetto esterno. E seguendo l'attività di un critico, articolo dopo articolo, saggio dopo saggio, si può assistere alle diverse tappe della costruzione della sua identità, che - come per tutti - resta comunque sempre in fieri, continuamente soggetta ad aggiunte, aggiornamenti, modifiche.
Mi sono imbattuto in riflessioni simili anche in un libro che sto leggendo attualmente. Si tratta di Dico a te, lettore di Marine Aubry-Morici. Lì si parla di saggi narrativi più che di critica in senso stretto (ma personalmente credo che critica, saggismo e giornalismo culturale sono tre categorie vicinissime, che si distinguono per poche sfumature e che in molti casi sostanzialmente coincidono), ma il discorso è all'incirca lo stesso. L'autrice fa rientrare il saggio tra le scritture del sé, distinguendolo però dall'autobiografia appunto perché la costruzione della soggettività non passa per la ricostruzione del passato, ma appunto attraverso oggetti esterni: «Ciò che è in gioco nel saggio non è tanto l'io, quanto il ruolo dell'introspezione nella narrazione dell'oggetto, processo dinamico che diventa laboratorio del sé». Insomma, «la soggettività nel saggio si costruisce come riflesso dell'esplorazione di un oggetto culturale, cioè a contatto con una alterità».
Siamo vicini alla fenomenologia husserliana che nega il dualismo tra l' io e il mondo. La critica (o il saggismo) racconta precisamente il punto di contatto e fusione tra queste due dimensioni solo apparentemente separate.
E per oggi è tutto.
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