Bentrovati. Io sono Marcello Conti e questo è Caffè Letterato, la newsletter su giornalismo culturale e dintorni.
Oggi un po' di carne al fuoco. Innanzitutto con una rassegna di prim'ordine, con diversi articoli molto interessanti. Poi una piccola riflessione provvisoria (ed è giusto che sia tale) sugli appunti come forma testuale dotata di una sua dignità e autonomia. E poi le segnalazioni di due robe mie uscite di recente.
Direi che c'è abbastanza per cui valga la pena di non perdere ulteriore tempo. Quindi buona lettura!
Rassegna 🗞️
I meccanismi di desiderio e imitazione dei social network spiegati da René Girard
Ricordando Torazine, la rivista underground italiana più estrema di sempre
La nostalgia come malattia dell’immaginazione
Dalla letteratura alla scienza, e viceversa. Una intervista a Telmo Pievani
Il nuovo libro di Sally Rooney è forse «un grande romanzo della mascolinità»?
Vita e opinioni di Isacc Asimov
L'infinita lettura de L'Ulisse di Joyce
Animali e mondi post-apocalittici
Elogio degli appunti
Oggi parto da un articolo che avevo inizialmente selezionato per la rassegna, ma a cui ho poi deciso di dare più spazio perché contiene spunti che avevo voglia di approfondire. Si intitola Lezioni di gioco. Auden lettore si Shakespeare, scritto da Matteo Marchesini e pubblicato qualche giorno fa su Snaporaz.
Come anticipato dal titolo, il pezzo sostanzialmente parla dell'interpretazione critica di Shakespeare da parte di Auden. Oltre che poeta e scrittore, infatti, Wystan Hugh Auden, fu anche un brillante critico. L'occasione è la recente ristampa delle Lezioni su Shakespeare di Auden.
Ma prima di lanciarsi nell'analisi delle letture che il poeta britannico fa di Shakespeare, Marchesini si sofferma a trattare in generale il metodo critico audeniano, ricavando diverse nozioni interessanti e volendo anche dei suggerimenti preziosi ancora oggi per chi vuole scrivere critica. In particolare mi sono segnato questo passo:
Del resto, anche nei testi critici da lui rivisti per la stampa, Auden non ha un tono troppo diverso da quello di una conversazione desultoria. Convinto che la critica, se non vuole suonare artificiosa o addirittura esanime, debba evitare la sistematicità, si è sforzato spesso di ridurre i suoi saggi ad “appunti”. Più in generale, nel suo modo svelto di girare intorno ai testi inquadrandoli da più punti di vista, Auden tende a stimolare la libera riflessione del lettore, anziché a saturare l’interpretazione.
Può sembrare paradossale l'idea di sforzarsi per ridurre dei testi ad appunti. Di solito avviene il contrario: gli appunti sono il materiale grezzo da trasformare in un testo finito. Ma se effettivamente si iniziassero a considerare gli appunti non soltanto come uno strumento di lavoro, qualcosa da tenere nascosto nel retrobottega e destinato a svanire nel prodotto finito, bensì come una forma testuale dotata di una sua dignità e un suo valore specifico, allora la cosa acquista senso.
Ma perché decidere di adottare la forma-appunti? Sono almeno due le qualità che possiamo trovare in essa, già evidenziati anche nello stralcio citato qui sopra. La prima è la "sveltezza" che consente. Un appunto è per definizione qualcosa che viene messo giù rapidamente. È per sua una natura un testo agile. E rapidità (che non significa necessariamente stringatezza, ma capacità di andare diretti al punto) e agilità nel trattare un argomento sono due capacità la cui importanza nella scrittura, soprattutto quella critica, non andrebbero sottovalutate.
Ma quella più importante è l'altra qualità che possiamo facilmente individuare negli appunti: la loro natura aperta. Un appunto non è mai qualcosa di completo. Potrebbe sembrare un difetto, il motivo per cui ciò che ha forma di appunto non può essere considerato un testo autonomo, ma tutt'al più il cartone preparatorio per qualcosa ancora da fare.
Ma se si considera la critica come uno stimolo ed esercizio a riflettere più a fondo su qualcosa (su dei testi, se consideriamo nello specifico la critica letteraria, ma ricordiamoci che la critica è arte che si può idealmente applicare a qualsiasi cosa) piuttosto che come una fabbrica di interpretazioni, l'apertura è proprio ciò che bisognerebbe cercare, anche quando sembra incompiutezza.
La forma completa, chiusa, sistematica, esauriente rischia sempre di togliere respiro al lettore, alla sua possibilità di sviluppare un pensiero proprio intorno a ciò che sta leggendo. Riduce tutto ad un prendere o lasciare, mettendo immediatamente fine a ciò che invece la lettura dovrebbe far iniziare.
Una forma aperta e incompleta come quella degli appunti, al contrario, può funzionare da innesco per il pensiero. Nel testo critico il lettore può trovare, più che spiegazioni definitive, tracce da seguire per vedere dove, autonomamente e imprevedibilmente, potrà arrivare. E, insomma, il valore del testo non dipenderà da quanto sarà completo, ma da quanto si rivelerà fecondo.
Cose mie
Ritorna, dopo qualche mese di pausa, Sottolineature, il mio podcast dedicato alla saggistica. In questo nuovo episodio ospito Paolo Pecere, filosofo, autore del bellissimo Il senso della natura (Sellerio). Abbiamo parlato di viaggi intorno al mondo e di rapporto con la natura, in senso filosofico, scientifico ed esperienziale. Ne è venuta fuori una bella conversazione, che puoi ascoltare su Spotify o su YouTube.
È uscito su Snaporaz questo mio articolo: I videogiochi filosofici. Anche qui il punto di partenza è un saggio uscito di recente, Il videogioco del mondo di Stefano Gualeni, edito da Timeo, per parlare delle potenzialità filosofiche dei videogame, ovvero di come fare esperienza di mondi virtuali possa veicolare certi concetti e aiutare a sviluppare certi tipi di pensiero.
E per oggi è tutto.
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Alla prossima!