# 2 La scomparsa degli assenti
Di due scrittori che se ne sono andati, ma che anche prima preferivano non essere presenti. E di quelli che oggi farebbero la felicità di Sainte-Beuve
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Prima di iniziare vi ricordo che tra poco meno di una settimana verrà annunciato il nuovo Premio Nobel per la Letteratura. Ne parleremo sicuramente nella prossima uscita. Oggi invece partiamo parlando di due scrittori che non hanno mai vinto il Nobel, ma che sono stati comunque tra i più importanti della letteratura mondiale contemporanea.
La scomparsa degli assenti
Negli ultimi mesi sono scomparsi due grandi scrittori: Cormac McCarthy e Milan Kundera. Due tra i più importanti romanzieri del nostro tempo morti a meno di un mese di distanza l'uno dall'altro. Scrittori diversissimi tra loro per stile, poetica, temperamento letterario e anche per biografia. Eppure, avevano una cosa in comune: entrambi hanno vissuto i loro ultimi anni vivevendo ritirati, lontanissimi dalla ribalta mediatica. Rarissime le interviste, quasi nessuna apparizione pubblica. Eremiti, anti-mondani, assenti anche dalle scene della società letteraria e intellettuale.
E del resto della loro presenza non c'era alcun bisogno. C'erano e ci sono i loro libri e tanto basta.
Forse anche in questo erano autori pienamente e irrimediabilmente novecenteschi. Non che per uno scrittore oggi la possibilità di essere assente sia del tutto preclusa, ma probabilmente risulterebbe una scelta tanto bizzarra da venire interpretata come un'audace strategia di auto-marketing (attività a cui, per altro, oggi tutti gli autori che vogliono avere qualche chance di farsi leggere devono dedicare parte non piccola delle proprie energie). Tra interventi sui social, partecipazioni a fiere e festival, presentazioni e firmacopie in libreria, oggi lo scrittore è perlopiù figura pubblica, eternamente presente.
Questi tempi forse farebbero la gioia di Charles Augustin de Sainte-Beuve, uno tra i più importanti critici letterari francesi dell'Ottocento. Il suo metodo critico teorizzava che per giudicare un'opera letteraria fosse fondamentale conoscere più informazioni possibili sulla vita e la personalità del suo autore. Un Sainte-Beuve contemporaneo farebbe il suo lavoro con più facilità, dato l'esposizione in cui vivono oggi buona parte degli scrittori.
Ma attenzione, il critico francese ebbe un oppositore ben più illustre di lui: Marcel Proust che nel Contre Sainte-Beuve (un saggio che Proust iniziò e lasciò allo stato di bozza e fu poi pubblicato postumo) scrive così:
L'opera di Sainte-Beuve non è un'opera profonda. Il famoso metodo che farebbe di lui il maestro ineguagliabile della critica dell'Ottocento, quel metodo che consiste nel non separare l'uomo e l'opera, nel ritenere che, salvo che non si abbia a cha fare con «un trattato di geometria pura», sia necessario innanzitutto, per giudicare l'autore di un libro, rispondere ai quesiti che più sembrano estranei alla sua opera (come si comportava, ecc.); nel premunirsi di tutti i ragguagli possibili su di lui, nel collezionare i suoi carteggi, nell'interrogare le persone che lo conobbero, conversando con loro, se sono ancora vive, leggendo quanto possono aver scritto su di lui, se sono morte; questo metodo disconosce quel che ci insegna una relazione più profonda con noi stessi. Ossia, che un libro è il prodotto di un io diverso da quello che si manifesta nelle nostre abitudini, nella vita sociale, nei nostri vizi. Un tale io, se vogliamo cercare di comprenderlo, possiamo attingerlo solo nel profondo di noi stessi, sforzandoci di ricrearlo in noi.
In fondo cambia poco se uno scrittore sceglie la presenza o l'assenza. Un po' come vuol dire poco se sia vivo o morto. Tanto "l'io che scrive i libri" resta qualcosa di diverso rispetto a quello che mette foto su Instagram o si può incontrare a una presentazione. È qualcuno che si conosce soltanto nei libri e che nei libri resta (quando i libri restano, s'intende).
Rassegna 🗞️
I temi intorno al lavoro e ai disagi ad esso legati sono sempre più discussi e centrali
Agostino ci dice qualcosa sulle violenze di gruppo adolescenziali
A proposito di violenza, ha compiuto 10 anni GTA V, che è un po’ “Il Padrino” dei videogame e un po’ la Barbieland dei maschi
Sulla passione per la conoscenza
Cosa sono i Death Cafè? Gli incontri sociali dove si parla di morte
Una bella intervista a Walter Siti
Vita e opere di Roland Barthes, eterno incompiuto
Cosa significa leggere (e tradurre) oggi un cult della fantascienza come Neuromante di William Gibson
Una interpretazione “mitica” della Metamorfosi di Kafka
Diario di visione📽️
Ragazzina geniale che va all'Agip per sfidare i camionisti a morra e vince sempre. Giovane che da Todi si sposta a Roma dove appare «ridicolissima» mentre si muove con «aria strafottente». Che conosce Elsa Morante e solo quando lei le chiede di leggere i suoi versi pur di non sfigurare inizia a impegnarsi e diventa davvero una poetessa. Infine l'anziana signora, segnata dalla malattia ma ancora energica, che racconta se stessa con fare divagante, mescolando teatralità e understatement, vanità e ironia.
Le mie poesie non cambieranno il mondo, docu-film firmato da Annalena Benini e Francesco Piccolo è uno splendido ritratto di Patrizia Cavalli, la grande poetessa che si è spenta un anno fa. Presentato al Festival di Venezia, uscito in poche sale un paio di settimane fa, dovrebbe arrivare a breve sulla Rai. Presenta numeroso materiale di repertorio: vecchie interviste e reading pubblici in cui Cavalli declama i suoi versi. Ma le parti più belle sono quelle recenti, girate nella sua casa romana appositamente per il film, in cui l'anziana poetessa non si fa problemi a bullizzare i suoi intervistatori quando ritiene che le cose stiano prendendo una piega troppo «cheap».
Molto difficile raccontare la poesia attraverso il cinema. Ed effettivamente qui della bellezza dei versi di Cavalli si riesce a rendere relativamente poco (ma per quella non c'è che andare a procurarsi una delle sue cinque raccolte, tutte edite da Einaudi). Quello di raccontare una poetessa nella sua umanità, invece, pare obbiettivo pienamente centrato.
Cose mie
Per Senzadieci ho scritto una recensione a Il capo il nuovo libro di Francesco Pacifico
Se non l’avete ancora ascoltata c’è sempre l’ultima puntata di Sottolineature, il mio podcast, in cui si parla di Guerre culturali insieme a Davide Piacenza
Se vi interessano i giochi da tavolo ho scritto questo pezzo sulla storia del Risiko
Una citazione per concludere🖋️
Gabbia piccola, leone stanco ma pur sempre leone in gabbia, su e giù, su e giù o accasciato di improvviso che sbadiglia. Questo è l’oggi alle otto di sera. Imprese di sangue, sognate. E grandi guadagni, sfumati. Le porcellane russe sono tutte false.Patrizia Cavalli
E anche questo secondo caffè è arrivato alla fine. Ci si rivede tra due venerdì.
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Alla prossima e buone letture!