Buongiorno, ben ritrovati e buon inizio di primavera.
Io sono Marcello Conti e questo è Caffè Letterato, la newsletter che si occupa di giornalismo culturale e dintorni.
Oggi ci occupiamo ancora una volta di libri e di lettura e lo facciamo partendo dai risultati di una ricerca sulle abitudini degli studenti, per passare poi a un saggio di George Steiner. Ma prima, come sempre, la rassegna con un po' di pezzi interessanti.
Buona (questa volta è proprio il caso di dirlo) lettura!
Rassegna 🗞️
Iconodiagnostica, ovvero scovare le malattie nelle opere d’arte
Che cosa è stato il Gamergate? E perché è all’origine di molte delle tendenze delle guerre culturali ancora in corso?
L’autenticità: da forma di resistenza a categoria di marketing
Dune e la fede nel cinema
Il gioco reinterpreta la realtà
Olga Tokarczuk e l'ascesa del romanzo frammentario
Qualcosa sulla lettura
Qualche settimana fa è uscita una ricerca promossa dall’AIE (Associazione Italiana Editore) sulle abitudini di studio degli studenti universitari italiani in cui emergeva un dato piuttosto preoccupante: «Più di quattro studenti universitari su dieci, interpellati sui materiali utilizzati per preparare l’ultimo esame universitario, dichiarano di aver fatto a meno di libri».
Per molti studenti è la normalità preparare esami (e passarli) senza aprire neanche un libro, ma limitandosi a studiare su «appunti, propri o di colleghi, riassunti scaricati dal web, registrazioni delle lezioni, slide, dispense, quiz ed esercizi del docente, correzioni di prove d’esame e altri materiali non strutturati»
Ora, anche senza lanciarsi in tirate sulla morte della cultura e tantomeno in paternalismi contro la superficialità degli studenti (anche perché, se bisogna incolpare qualcuno, il dito andrebbe puntato contro i docenti, che permettono o addirittura incentivano questa modalità di studio), il dato suona un po' sconfortante. Da sempre si parla di come in Italia si legga poco, ma finché si tratta di come le persone investono il proprio tempo libero alla scarsità di lettori si può anche rispondere con una alzata di spalle, se invece parliamo di formazione ad alti livelli la cosa solleva perlomeno qualche domanda su che rapporto stiamo costruendo con il sapere e la sua trasmissione.
Dopo tanti secoli di "civiltà del libro" siamo forse arrivati al punto in cui questo supporto ha perso la sua centralità nella trasmissione e condivisione della conoscenza? Può darsi, ma allora occorre chiedersi con che cosa lo si sostituisce e con quali conseguenze. Dispense e slide rivelano una concezione di apprendimento ridotta all'acquisizione di pacchetti di informazioni predigerite. Se viene meno l'esplorazione dell'orizzonte più vasto di un testo complesso e articolato, viene meno anche quello spazio in cui si poteva inserire il pensiero critico o la possibilità di una rielaborazione personale, che è poi l'unica strada con cui una conoscenza altrui si trasforma davvero in una conoscenza nostra.
Ma, dicevo, non sono qui per le tirate. Volevo piuttosto condividere una riflessione sulla lettura: si tratta di un breve saggio di George Steiner intitolato Una lettura ben fatta, che si trova nella raccolta Nessuna passione spenta.
Il saggio parte dalla accurata descrizione di un dipinto del '700: Le Philosophe lisant di Chardin. In questa raffigurazione convenzionale di un erudito nell'atto di studiare Steiner rileva i simboli di una modalità di lettura ormai distante da noi. L'eleganza dei vestiti dell'uomo indica la solennità dell'incontro con il testo, una clessidra appoggiata sul tavolo allude alla dialettica tra il tempo limitato della vita del lettore e la virtuale immortalità delle parole del libro. Ma il dettaglio più significativo è probabilmente la penna, che rimanda al ruolo attivo che una lettura serie presuppone: «La penna simboleggia l'obbligo primordiale di rispondere al richiamo del libro. Definisce la lettura come un'azione. Leggere bene significa rispondere al testo, implica una "responsabilità" che sia anche risposta, reazione».
Il lettore con la penna è attivo, prende appunti, lascia note a margine, risponde al testo, talvolta lo emenda o addirittura lo trascrive e in questo modo se ne appropria. Per questo «l'intellettuale è, semplicemente, un essere umano che legge i libri con una matita in mano».
Nella seconda parte Steiner confronta la concezione della lettura che emerge dal quadro di Chardin con quella del suo presente (che per noi è, per tanti versi, a sua volta un'altra epoca, dato che stiamo parlando di un testo del Novecento): la solennità e la «cortesia» dell'incontro con il libro è ormai svanita: «I nostri modi di leggere sono vaghi e irriverenti».
A essere sparito, soprattutto, è quel senso di silenzio, assorbimento, concentrazione che spira dal dipinto settecentesco. Seguono riflessioni che oggi appaiono di una attualità quasi profetica: «In questa fase della società occidentale, tale silenzio tende a diventare un lusso. I futuri storici delle mentalità dovranno misurare quanto il nostro tempo di attenzione sia stato abbreviato e le nostra concentrazione diluita dal semplice fatto che possiamo essere interrotti dallo squillo del telefono e dal fatto corollario che quasi tutti noi, a meno di uno sforzo stoico di volontà, risponderemo al telefono, qualsiasi cosa stiamo facendo. [...] Conosciamo troppo male i processi con i quali il cervello tratta e integra stimoli simultanei in competizione tra loro per poter descrivere l'effetto di questo input elettronico sui centri di attenzione e di concettualizzazione coinvolti nella lettura. Tuttavia è almeno plausibile che le capacità di comprensione precisa, di ricordo e di reazione energica che intrecciano la nostra esistenza con quella del libro siano drasticamente diminuite. Tendiamo a essere, contrariamente al Philosophe lisant di Chardin, lettori a tempo parziale, lettori a metà». Superfluo aggiungere come tutto ciò risulti decisamente moltiplicato nell'epoca degli smartphone e delle notifiche.
Perdendo una relazione viva e profonda con i libri non solo ci ritroviamo impoveriti noi, ma gli stessi libri sono condannati al silenzio o alla incompiutezza. Il testo scritto ha bisogno di un lettore che si prenda pienamente la «responsabilità» di rispondergli. Perché «il testo, per quanto sia ispirato, non può avere un'esistenza significante se non viene letto [...]. La relazione del vero lettore al libro è creatrice. Il libro ha bisogno di lui quanto egli ha bisogno di esso».
Una lettura ben fatta è «nientemeno che il vero, veritiero, e persino e soprattutto reale compimento dell'opera» (qui la citazione, riportata da Steiner, è a Charles Péguy). Anche la più grande letteratura, quindi, dipende da noi per compiersi, cioè per sopravvivere.
Siamo ancora alla altezza di questa responsabilità? Certo dovremmo almeno provare ad esserlo. E se oggi scarseggiano i veri lettori dovremmo compiere uno sforzo per formarli. Nelle ultime righe Steiner ipotizza una possibile «scuola di letture creativa». Probabilmente avrebbe meno successo dei tanti corsi di scrittura che esistono oggi, ma forse sarebbe più utile.
E anche per oggi il caffè finisce qui.
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