Benvenuti o bentornati. Io sono Marcello Conti e questo è Caffè letterato, la newsletter che si occupa di giornalismo culturale e dintorni.
Oggi, come sempre, vi segnalo un bel po' di articoli usciti nelle ultime due settimane, tra cui uno mio. Poi parliamo di nuovo di cinema partendo da una domanda: perché andare al cinema nell'epoca dello streaming?
Ah, domani è il mio compleanno. Ricorda che puoi farmi un regalo facendo conoscere questa newsletter a chiunque potrebbe essere interessato.
Ma adesso cominciamo. Buona lettura!
Rassegna 🗞️
Dato che è appena passato San Valentino: sull’amore in Occidente, da Tristano e Isotta alle serie tv
Oltre che San Valentino due giorni fa c’è stata anche la presentazione dell’edizione 2024 del Salone del Libro di Torino: qui tutte le info
Vie italiane della letteratura autobiografica
Mysticposting, ovvero il ritorno della internet esoterica
Animazione liquida per far vivere sullo schermo il surrealismo di Gianni Rodari
Tetris ha quarant'anni, ma i suoi confini sono ancora inesplorati
A proposito di videogame: su videogiochi procedurali e nichilismo
E restando ancora in ambito ludico: playfication vs gamefication
Cose da sciamano, spiegate, per l’appunto, da uno sciamano
A caccia del caffè perfetto
Cose mie
La settimana scorsa è uscito il mio primo articolo per Nido Magazine, la testata online legata alla Scuola di Giornalismo Culturale della Treccani.
Il pezzo parla di responsabilità morali della scienza attraverso la lente della letteratura. In particolar modo con tre libri molto diversi tra loro, eppure legati da un filo sottile: Vita di Galielo di Bertold Brecht, Ghiaccio-nove di Kurt Vonnegut e La scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia.
Se vi va di leggerlo lo trovate qui
Sono fuori dal flusso
Parliamo di cinema. Non di film, stavolta, proprio di cinema come luoghi. Io personalmente ci vado circa una volta a settimana ed è una abitudine a cui sono molto affezionato.
Da tempo si parla di crisi delle sale cinematografiche: sempre meno persone che vanno al cinema, soprattutto in Italia, soprattutto nel post-pandemia. Le principali ragioni per cui meno gente di un tempo decide di uscire di casa e pagare un biglietto per vedere un film sono abbastanza semplici da intuire: oggi siamo sommersi da una offerta quasi infinita di contenuti audio-visivi più comodi ed economici da fruire.
Eppure negli ultimi mesi stanno emergendo delle tendenze molto interessanti e inaspettate. Se fino a poco tempo a essere danneggiati dalle diserzione delle sale erano soprattutto i film piccoli o d'autore, mentre quelli che reggevano meglio erano i blockbuster (al punto che c'era chi profetizzava un futuro in cui praticamente solo questo genere di pellicole avrebbe continuato a vedere le sale, mentre tutto il resto sarebbe stato destinato alla via dello streaming), qualcosa adesso sembra essere cambiato.
Segnalo, per chi volesse approfondire due articoli a firma di Lorenzo Peroni, usciti di recente su Rivista studio: il primo parla di come negli ultimi mesi film d'autore hanno incontrato uno straordinario successo di pubblico (Oppenheimer, C'è ancora domani, Il ragazzo e l'airone, Perfect days, Povere creature, eccetera), mentre, viceversa, il 2023 è stato un anno segnato da flop e risultati insoddisfacenti al botteghino per diversi grossi blockbuster; l'altra tendenza sorprendente, di cui parla il secondo articolo, è il buon riscontro dei film vecchi che ritornano in sala.
Dati che consentono un cauto ottimismo: sperando che non sia una parentesi temporanea, viene da credere che ancora ci sia una voglia diffusa di cinema in sala; anzi di più, una voglia di cinema di qualità e non solo di spettacolari giocattoloni o film-evento gonfiati dal marketing. Insomma, non solo forse le sale possono sopravvivere, ma può mantenersi anche una sana biodiversità dell'offerta.
Ma a questo punto viene da chiedersi: perché? Perché andare a vedere al cinema in sala e pagare un biglietto quando ormai per la maggior parte dei titoli basta attendere pochi mesi per poterli vedere, peraltro a prezzi più economici, comodamente a casa? Per lo schermo più grande? Beh, in effetti uno schermo grande è meglio di uno piccolo, però, almeno per quanto mi riguarda, non trovo che sia una differenza così decisiva.
E allora perché? Io personalmente mi sono dato una risposta: al cinema mi godo maggiormente la visione perché sono sempre più concentrato sul film rispetto a quanto riesco a esserlo di solito a casa. Se così è, allora si potrebbe dire che non solo le sale cinematografiche hanno ancora senso nell'epoca dello streaming, ma addirittura che oggi sono più utili che in passato.
Viviamo in un'epoca in cui l'attenzione è un bene scarso: concentrarsi diventa sempre più difficile, perfino concentrarsi su quello che ci piace. In questo senso il cinema può essere uno sorta di spazio speciale perché esclusivamente dedicato alla visione del film. Un cerchio magico entrando nel quale lasciamo fuori tutto il resto, usciamo dalla vita quotidiana e dai suoi mille stimoli che si contendono incessantemente la nostra attenzione.
In altre parole, al cinema usciamo dal flusso. Con questo termine riprendo un concetto teorizzato negli anni '70 dal sociologo Raymond Williams per descrivere la natura della televisione. Cito da un contributo di Gabriele Balbi tratto da questo pezzo a più mani: «Secondo lo studioso, nella tv commerciale americana gli spettatori sperimentavano un’esperienza di visione ininterrotta tra i vari programmi, dove il senso complessivo non risiedeva nel guardare un singolo spettacolo, ma appunto nel flusso indistinguibile di contenuti». Anche se la televisione ha perso la rilevanza di un tempo il concetto di flusso è oggi diventato più pervasivo che mai, in quanto «le modalità di visione e ascolto dei social sembrano aver recuperato, o meglio adattato, alcune caratteristiche del flusso».
I social sono un puro flusso, frammentato e infinito, che attira, assorbe e sbriciola la nostra attenzione come un buco nero. Ciò crea un habitus mentale che inevitabilmente influenza anche i nostri consumi culturali: anch'essi finiscono inglobati in un grande flusso di intrattenimento senza fine, che tiene insieme episodi di serie tv e video di Tiktok, letture di libri e spezzatini di informazione che stanno dentro una storia o un carosello di Instagram. Su tutto quanto posiamo la stessa attenzione superficiale e volatile, pronta ad essere portata via dalla prima notifica.
Ecco, forse il semplice atto di andare al cinema, cioè andare in un posto specificatamente ed eslusivamente destinato alla visione di un film (laddove invece la meccanica del flusso si basa sul miscuglio e quindi sulla indifferenziazione delle esperienze), può aiutare ad uscire dal flusso e quindi a godere fino in fondo dalla pellicola, la cui fruizione diventa così qualcosa di qualitativamente speciale, come ogni esperienza estetica dovrebbe essere.
La cosa vale probabilmente anche per altre forme di consumo culturale: è forse il motivo per cui tanti studenti per preparare gli esami scelgono di andare, anche quando potrebbero farlo a casa, in biblioteche o aule studio. Luoghi che sembrano naturalmente conciliare la lettura, anche quando non sono i più silenziosi o confortevoli.
Può sembrare un paradosso: eppure sembra che in un'epoca in cui la cultura è diventata immateriale e disintermediata, tanto più si riscoprono preziosi i luoghi fisici (e i riti) che ce la mediano.
Una citazione per concludere🖋️
Per sapere veramente come stanno le cose basterebbe mettersi lì e scrivere, scrivere tutti i giorni e a un certo punto ci sarebbe l’acqua o il petrolio o il fuoco o il centro della terra, la felicità o il dolore o qualche cosa del genere
Cesare Zavattini (da una intervista a Sibilla Aleramo del 1950)
E anche per oggi il caffè finisce qui.
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