Buondì, bentornati a Caffè letterato. Io sono Marcello Conti e questa è una newsletter che si occupa di giornalismo culturale e dintorni.
Oggi il menù prevede, come sempre, la selezione di alcuni degli articoli più interessanti che ho letto nelle ultime settimane. Poi c'è la nuova puntata del mio podcast, uscita da poco. Infine scrivo dell'imminenste Festival di Sanremo, ma solo per arrivare a parlare di FOMO e consumi culturali.
Buona lettura!
Rassegna 🗞️
L’umanesimo secondo Edgar Morin
Per una pedagogia hacker, ovvero come passare da tecnologie tossiche a tecnologie conviviali
A proposito di tecnologia: Le IA stanno diventando uno strumento per lucrare perfino sulla nostra solitudine. Se vi sembra distopico, be’, probabilmente avete ragione
Il cinema in sala vive! Ed è anche merito dei film d’autore
Restando in tema: Restaurare film è un duro lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare
Quando Italo Calvino intervistò Montezuma
Borges spiega l’inflazione in Argentina
L’arte della sottrazione come cura alla mania dell’autorappresentazione
Sul (non) mestiere dello scrittore
Podcast 🎙️
Sottolineature è il podcast che è un po’ il fratello maggiore di questa newsletter.
La settimana scorsa è uscito un nuovo episodio, il numero 22, in cui ho avuto modo di chiacchierare con il giornalista Lorenzo Fantoni a proposito del suo libro Vivere mille vite. Come i videogiochi ci hanno cambiato il futuro edito da Effequ. Ne è venuta fuori una bella conversazione in cui abbiamo parlato in generale di videogame come medium, della loro influenza, della loro autorialità, delle loro specificità, ma anche dei pregiudizi che li riguardano e del loro coinvolgimento nelle guerre culturali.
Qui sotto lo potere ascoltare su Spotify, ma lo trovate anche sulle altre piattaforme come YouTube e Apple Podcasts.
Ne parlano tutti
Ogni tanto fa bene staccarsi dai social, su questo è facile concordare. Ma si sa, i social sono subdoli ed è spesso difficile trovare il giusto stimolo per metterli da parte almeno per qualche giorno. Io questo stimolo lo trovo tutti gli anni durante la settimana di Sanremo: giorni in cui, lo so già, puntualmente i miei feed saranno monopolizzati da contenuti d’ogni genere riguardo a quello che succede sopra e intorno al palco dell'Ariston.
Non che io abbia un astio particolare per il Festival (diciamo semplicemente che non ne sono un appassionato, ecco), ma l'eccesso di attenzione che riceve tende a darmi la nausea. E in buona parte faccio fatica a capirla; anche se poi a rifletterci non è poi così difficile da spiegare: il successo di Sanremo si nutre di sé stesso. Tutti guardano Sanremo soprattutto perché è appunto quello che stanno guardando tutti.
Le canzoni contano relativamente, le giustificazioni sociologiche lasciano il tempo che trovano (c'è sempre quello che dice "bisogna guardare Sanremo perché è lo specchio del Paese", guardandosi però bene dallo spiegare in che senso lo sarebbe). La verità è che il principale motivo per accendere la tv e sorbirsi per cinque sere di fila uno show interminabile e per la maggior parte del tempo francamente noioso è lo stesso per cui non si vuole mancare a una festa a cui si sa che andranno tutti. Analogamente il motivo per cui ci si affretterà a postare sui social qualcosa sul Festival (e questo vale tanto per l'utente normale alla ricerca di una piccola dose extra di dopamina da like, per l'influencer che per lavoro deve cavalcare i trend o per il politico che troverà qualche polemichetta da imbastire) è non perdere l'occasione per parlare della cosa a cui tutti stanno prestando attenzione.
Non è tanto una questione di conformismo, ma piuttosto di FOMO.
La FOMO (Fear Of Misssing Out), cioè la paura di rimanere esclusi, può essere definita come «una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti» (Wikipedia). Se ne è parlato spesso negli ultimi anni, soprattutto perché è uno di quei disturbi che i social media hanno reso endemici (e torniamo al punto di partenza: ogni tanto fa bene staccarsi). Ma da un po' la FOMO è diventata anche uno degli strumenti principali con cui l'industria culturale cerca di conquistare i nostri soldi e (soprattutto) il nostro tempo.
Netflix ha (aveva?) una strategia di marketing esemplare da questo punto di vista: quanto una serie o un film stanno andando bene il trucco migliore per pomparla ulteriormente è puntare sulla narrazione de "la serie che stanno guardando tutti", "la serie di cui tutti parlano" ; il che spesso funziona come una profezia che si auto avvera.
In generale questa è una logica che orienta molti dei consumi culturali di oggi. C'è sempre una "serie del momento", un "film del momento", un "libro del momento" da consumare il prima possibile, perché imperversa nella mia bolla social e se non ho qualcosa da aggiungere anche io mi sento tagliato fuori
Ora, non voglio assumere pose da snob che esalta i gusti degli happy few e aborre per partito preso tutto ciò che gode di un successo ampio. Va bene leggere/guardare/ascoltare quello che va per la maggiore: anche perchè può benissimo essere qualcosa di assolutamente meritevole, valido, interessante. Capita spesso, anzi, che un prodotto diventi interessante proprio in virtù della massa critica di attenzione che ha saputo addensare intorno a sé. Decidere di escludere totalmente queste cose dalla propria dieta culturale vuol dire condannarsi a una visione miope.
Ma, appunto, dato che di dieta si tratta, che sia una dieta bilanciata e soprattutto consapevole. Quando si parla di consumi culturali si parla anche di gestione del proprio tempo, che è un bene - lo sappiamo tutti troppo bene - fortemente limitato. L'industria culturale continua a buttare fuori nuovi "prodotti del momento", ma i nostri momenti non sono infiniti. Se ci limitiamo a seguire l'onda a un certo punto ci si ritrova senza spazio per quello da scegliere in autonomia.
Avere una cultura significa avere una propria cultura, il che a sua volta significa scegliere. E ogni scelta comporta delle esclusioni. Non che ci siano scelte giuste o sbagliate a priori, ma c'è per lo meno una responsabilità verso se stessi. Più il mercato dell'offerta culturale diventa affollato (e diventa sempre più affollato) più diventa necessario sviluppare un pensiero critico e consapevole anche in fase di selezione.
A volte è necessario solo spostare l'attenzione: smettere di pensare a quello di cui parlano tutti, per chiedersi "cosa interessa a me?". E, si badi, se presa sul serio questa non è affatto una domanda semplice. Forse uno dei motivi per cui ci si fa una cultura è imparare a rispondervi. Nel breve periodo ogni consumo culturale può essere un piccolo passo di un percorso in fieri per trovare la propria, personalissima risposta. Nel lungo assomiglia a qualcosa come costruirsi una identità.
Una citazione per concludere🖋️
"Guardati dall'uomo che lavora sodo per imparare qualcosa, e una volta che l'ha imparato non diventa più saggio di prima" ci dice Bokonon. "Egli nutre un risentimento omicida per la gente ignorante che non ha dovuto faticare per la propria ignoranza"
Kurt Vonnegut, Ghiaccio-nove
E anche per oggi il caffè finisce qui.
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